Quando leggo recensioni come quella di Giovanni Frulla, mi chiedo meravigliato se sia stato davvero io a scrivere Cassonetti! Fa un piacere immenso… inutile nasconderlo!
Giovanni Frulla (Vivere Senigallia, 28/01/11)
È una prova di scrittura convincente quella che possiamo leggere nelle pagine del romanzo di Gianluca Antoni (Cassonetti, Italic, 2010, 234 pp.), dove vengono descritti, ripercorrendo le varie fasi di una vita universitaria con tutta probabilità molto vicina all’esperienza autobiografica dell’autore, i momenti principali del percorso di un fuorisede, studente di psicologia, perennemente scisso tra i dubbi esistenziali di una età decisamente travagliata e le necessità della vita concreta.
Il romanzo si svolge infatti in un continuo oscillare tra elevate aspirazioni (e sogni idealizzati) e routine quotidiana, di sicuro non esaltante, ma senza ombra di dubbio “viva” e presente.
Cosa si muove davvero nell’animo del protagonista? Non siamo mai in grado di coglierlo con precisione: ed è questo l’aspetto più intrigante della narrazione. Così come nel corso del romanzo da un certo punto in poi non riusciamo più a distinguere, tra spostamenti di scena, arditi e frequenti déjà vu, momenti di rapimento onirico o di pura immaginazione, i piani della realtà dei personaggi, in particolare del personaggio principale, Peter, combattuto nella sua indecisione perenne e vittima di un pessimismo che rischia di far fallire in lui ogni esperienza d’amore e gli impedisce di vivere a pieno e con passione i momenti belli della vita.
Antoni racconta la vicenda di Peter e dei suoi coinquilini con uno stile energico, deciso, evitando elucubrazioni sottili e pesantezze formali, riportando con estremo realismo (a volte anche eccessivo) i dialoghi, le abitudini, i rituali propri di un mondo – quello universitario – che sembra prendere forma dalle sue parole e delinearsi con chiarezza nella fantasia del lettore. Un mondo perennemente insoddisfatto, in fermento, in continuo divenire, alla ricerca di una felicità spesso introvabile e altre volte invece semplicemente esorcizzata da battute di basso profilo, finalizzate a sdrammatizzare la cruda realtà o – più codardamente – a rinviare le scelte decisive.
La vita quotidiana in un appartamento universitario, insomma, dove con estrema naturalezza ci si confronta sui massimi sistemi così come sulle questioni più banali.
Si possono individuare due chiavi di lettura del romanzo (ma potrebbero essere anche di più). Da un lato l’esperienza sofferta della solitudine, alla quale il protagonista vuole sfuggire ma che sembra stargli addosso implacabile: solitudine che spesso si manifesta con una certa estraneità verso il mondo circostante e con la ricerca di emozioni forti (benché passeggere). D’altro canto è ben evidente la tematica ricorrente del tempo che scorre e che spesso spinge l’uomo a ripetersi e a tornare sui suoi passi: nella dimensione ciclica dell’esperienza umana, dipinta in alcune pagine del libro da scene ripetute (o a in alcuni casi ri-narrate da un punto di vista diverso), si racchiude con tutta probabilità quel principio – semplice ma il più delle volte dimenticato – per cui le esperienze passate sono presenti anche nelle nostre scelte future e quello che siamo è anche sicuramente frutto dei nostri trascorsi personali.
Le scelte dell’autore lo portano quindi a sviluppare una storia accattivante in cui le immagini e le situazioni si susseguono rapidamente (ma non per questo senza spontaneità) e in cui spesso – come nella vita concreta – diverse questioni di fondo rimangono irrisolte e molti dilemmi restano inspiegati. Ecco perché l’autore il più delle volte evita di intervenire in maniera intrusiva nella storia per interpretare la realtà: i dialoghi, registrati senza didascalie, lasciano al lettore il compito ingrato di sondare autonomamente le atmosfere che si creano tra i personaggi (maschili e femminili) del racconto e di cogliere quei significati inespressi che spesso anche nella realtà caratterizzano le relazioni tra le persone, segnate spesso da incomprensioni e lacune insanabili.
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