Non avrei mai pensato che si potesse scrivere così tanto sulla cacca! Ricci (Italic peQuod, 2011) di Linnio Accorroni è un libro molto particolare e onestamente faccio fatica a commentarlo. Ho un timore reverenziale: il libro ha un linguaggio forbito, un lessico ricchissimo e citazioni culturali capaci di mettere in luce la mia ignoranza. Rischia, il mio, di essere il commento alla teoria della relatività di un liceale con un sei striminzito in fisica. Ma ci provo.
Ricci è un libro tosto, piccolo ma corposo. E denso. Tutto il contrario di quella cacca che non riesce a trattenere il protagonista, un padre anziano colpito da un cancro. Il romanzo scritto a due voci, padre e figlio, intorno alla malattia, è un quaderno di riflessioni, pensieri, elucubrazioni, intellettualizzazioni che alla fine mettono in luce, a mio modesto parere, lo ribadisco, una difficoltà di comunicazione tra i due, quasi impossibile, un sofisticato, ma alla fine maldestro, tentativo di tenere a bada l’incapacità di entrare in contatto con la propria emotività e affettività. Dove la cacca diventa un’ossessione, e le carcasse degli animali una fredda analisi asettica per eludere il vero problema: affrontare la morte e la perdita.
Ricci è indubbiamente un libro per stomachi forti, non facile, ma di certo coraggioso.
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