Non potevo non leggerlo, Lontano da ogni cosa di Mattia Signorini. Quando in quarta di copertina ho letto “Vita quotidiana in un appartamento di studenti, anni universitari, un romanzo che parla di gioventù e di rabbia, di tenerezza e di indifferenza; della ricerca di un’identità e della scoperta, alla fine, di essere lontano da ogni cosa” e per di più ambientato a Padova… be’ le assonanze erano troppe con il mio Cassonetti per non cimentarmi nella lettura.
Che poi, quando ti metti a leggere un romanzo che tratta degli stessi temi del tuo, parti un po’ prevenuto. Leggi l’anno di pubblicazione, 2007, e ti auguri che non ci siano somiglianze, che poi le similitudini come le spieghi, tu che l’hai pubblicato dopo. Inoltre, c’è l’inevitabile confronto. Della serie è più bello il tuo o il suo. Dilemmi egocentrici, lo so. Ma è un po’ come mettere due pittori alle prese con lo stesso paesaggio. Viene da sé confrontare i quadri al termine dell’opera.
Così l’ho letto, Lontano da ogni cosa, e mano mano che andavo avanti nella lettura quella sensazione prevenuta si dissolveva lasciando spazio al piacere della lettura. Un po’ per il sollievo di scoprire che il romanzo di Signorini è diverso dal mio, un po’ per lo stile di Mattia, che fila via liscio che nemmeno te ne accorgi. A dire il vero all’inizio mi ha un po’ infastidito, con quei paragrafi lunghi con poche virgole e molte congiunzioni, quel ripetersi quasi ossessivo di “ho detto” “ha detto” nei dialoghi, l’utilizzo spasmodico degli aggettivi dimostrativi “questo” “quello” nelle descrizioni delle situazioni, e quell’uso del nome e cognome dei personaggi all’americana, ma pagina dopo pagina ho cominciato ad apprezzarlo come un’impronta personale e distintiva dell’autore e, insomma, mi è piaciuto.
Lontano da ogni cosa racconta il triangolo amicale intenso, simbiotico, promiscuo tra Stefano (l’io narrante), Alberto e Chiara, negli anni che vanno dalla fine dell’università all’inserimento nel mondo del lavoro. Sebbene il percorso di vita li distaccherà, la calamita del loro legame li attrarrà più volte, inevitabilmente fino all’epilogo. Un rapporto che funziona bene solo a tre, come uno sgabello che non sta in piedi su due gambe sole. E in mezzo a questo la difficoltà di accettare compromessi e di rimanere saldi ai propri ideali.
Il romanzo trasmette bene la difficoltà del diventare adulti, e quando chiudi il libro, ti rimane l’ amaro in bocca, e ti dici è mai possibile che il destino del crescere sia solo questo?
Insomma Lontano da ogni cosa è un romanzo che non lascia indifferenti. Sia per lo stile, sia per la storia. Vi avverto, può anche non piacere affatto, suscitare fastidio e rabbia. Ma non sempre è un male. Soprattutto quando ci tocca nel profondo, un nervo scoperto, che non capiamo bene nemmeno cosa sia, anche se oserei chiamarlo “inaccettabile disillusione del vivere”.
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