Te ne stai a sbirciare su google alla ricerca di qualcuno che parli del tuo romanzo e ti imbatti in una recensione che comincia con “Il peso specifico dell’amore si trova in un carrello del supermercato…”, recensione che scopri non parlare del tuo romanzo ma dell’ultimo di Chiara Gamberale 4 etti d’amore, grazie. Non potevo perdermelo.
Conoscevo Chiara come conduttrice radiofonica de “Io, Chiara e L’Oscuro” su Radio 2. Ascoltavo curioso le psicosedute e, da psicologo quale sono, apprezzavo il suo modo di affrontare le discussioni, la preparazione, il grado di analisi dei “turbamenti” affrontati con i radioascoltatori: poteva essere una del mestiere, magari solo dall’altra parte del lettino, pensavo. È stato naturale quindi mettere 4 etti d’amore, grazie nella mia lista dei desideri, e ancor di più cogliere l’occasione di andare alla sua presentazione ad Osimo.
L’incontro, condotto da Paolo Marasca, mio compagno di bastimento peQuod, è stato davvero interessante. Si è parlato d’amore, di malinconia, delle vite di Erica e Tea, protagoniste del romanzo, due donne apparentemente molto diverse con il vizio di sbirciare nel carrello dell’altra, e imbastire a partire dal contenuto della spesa chissà quali fantasie sulla reciproca vita privata.
La lettura del romanzo ti catapulta nella loro testa, nei meandri delle loro elucubrazioni, nei dettagli e nelle sfumature dei loro pensieri, sensazioni, emozioni, sogni e idealizzazioni. Da maschio quale sono, tendente a semplificare sempre tutto, è come entrare in un mondo alieno, complesso e complicato, a volte troppo, verrebbe da dire.
Il filo conduttore che unisce la storia è il tema della "idealizzazione della vita degli altri", sempre migliore della nostra, della serie “l’erba del vicino è sempre più verde”. Un tema che emerge spesso anche in terapia: gli altri stanno sempre meglio, riescono ad ottenere con apparente facilità quello che a noi è interdetto, sono più fortunati, gli fila tutto liscio, non hanno grossi problemi. Ma è pura illusione, e Chiara Gamberale in questo romanzo lo sviscera bene. Quando davvero ci entriamo, nella vita “mentale” degli altri, ci accorgiamo che ognuno è assillato da crucci, problemi, sogni infranti, delusioni, sofferenze. Esattamente come noi. Ognuno a modo proprio, magari per cose diverse, ma con la stessa “fatica” di vivere.
La vita degli altri ci sembra sempre migliore perché può rappresentare un’alternativa alla nostra. C’è però un problema di fondo: la lente attraverso cui la si guarda non è la stessa con cui guardiamo la nostra. Tutte le opportunità che lasciamo, che non possiamo vivere semplicemente perché tra tutti i percorsi di vita possibili alla fine ne possiamo percorrere solo uno, rimangono nel regno dell’immaginazione. E tra l’immaginazione e la realtà, lo sappiamo bene che a perderci è sempre quest’ultima.
Dal libro, alla fine, sembra emergere il messaggio di smetterla di focalizzarci sul carrello degli altri; preoccupiamoci del nostro carrello, e utilizziamo il suo contenuto al meglio per preparare le migliori pietanze possibili. Trattiamo i nostri articoli della spesa come gli unici rimasti. E scopriremo che di tutti gli altri, di quelli lasciati sullo scaffale, non ne sentiremo la mancanza.
L’amore in fondo non si compra al supermercato, né altrove. L’amore è dentro di noi.
E a quantità e peso inesauribili.
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