Qualche giorno fa un ragazzo che seguo mi raccontava di come tende a nascondere agli amici il fatto che soffra di attacchi di panico. La motivazione a sostegno è che prova vergogna a mostrare questa fragilità; gli amici non lo capirebbero.
La sua reazione non mi ha meravigliato, è molto comune tra chi soffre di disturbi d’ansia e attacchi di panico. Vivendo il problema come una fragilità tendono a nasconderlo; il che crea un ulteriore problema quando si trovano in situazioni sociali perché tanto più tentano di nascondere la loro ansia tanto più la loro ansia si potenzia e rischia di esplodere. Questo corto circuito crea un circolo vizioso che porta la persona ad evitare le situazioni sociali alimentando ancor di più il problema stesso.
Per interrompere questo circolo vizioso e depotenziare l’ansia è quindi necessario smantellare questa falsa convinzione di fragilità.
Falsa?
Falsa, esatto!
Immagina queste due scene ambientate nella savana:
- scena 1: un uomo a piedi si imbatte in un leone, se lo trova di fronte a 5 metri di distanza. Appena lo vede, si gira e scappa a gambe levate;
- scena 2: stesso contesto, un uomo a piedi si imbatte in un leone trovandoselo di fronte a 5 metri di distanza. Quando lo vede rimane immobile e lo guarda senza fuggire.
Domanda: quale dei due uomini è più coraggioso?
La risposta è scontata: il secondo.
Bene, chi soffre di attacchi di panico, ogni volta che un attacco compare è come se si trovasse di fronte a un leone. Sebbene non esista una minaccia esterna, la reazione di paura è lo stessa. Il corpo e la mente entrano in uno stato d’allarme come se se si trovasse in pericolo di vita: sudorazione, palpitazioni, iperventilazione, vertigini fanno da cornice a una sensazione di perdita di controllo con il terrore di morire, di avere un infarto o di diventare pazzo.
È qualcosa di terrificante, reso ancor più intenso dal fatto che la persona riconosce la sua irrazionalità: un conto infatti è trovarsi di fronte a un leone, allora sì che tutte quelle sensazioni sarebbero giustificate, un altro invece è quello di non essere di fronte ad alcun pericolo reale.
Vivere tutte queste sensazioni dall’inizio alla fine è come rimanere immobile di fronte a un leone. È una prova di forza non comune. Può sembrare paradossale, ma chi affronta un attacco di panico è come un maratoneta che affronta e supera quella soglia di dolore e fatica che gli permette di raggiungere il traguardo. Al traguardo è sfinito, ma il suo corpo e la sua mente è molto più allenata e forte.
Il panico, la paura, il dolore e tutte le emozioni intense che viviamo hanno il potere di forgiare il nostro carattere. Spesso sono delle prove faticose, che ci portano allo stremo delle forze, ma quando ci rialziamo (e non importa se lo facciamo da soli o con l’aiuto di qualcuno) siamo davvero più forti.
Questa è la forza della fragilità.
Suggerimenti ed Esercizi
Durata: 5 minuti.
Frequenza: al bisogno.
Obiettivo: riconoscere la forza della fragilità.
Azione: ogni volta che ti trovi a vivere una situazione che provoca emozioni spiacevoli, intense e prolungate (come il dolore, la tristezza, e la paura) immagina che stai “semplicemente” allenando la tua mente. Tanto più resisti senza fuggire a queste emozioni – accogliendole, ascoltandole, lasciandole correre – tanto più cresce la tua forza psicologica e la tua resilienza.
Questo ti permetterà di trovare soluzioni inaspettate al problema che le alimenta e scoprire che, vivendole senza opporti, queste emozioni si dissolveranno in minor tempo.
Il consiglio del biblioterapeuta
Taiye Selasi, La bellezza delle cose fragili (Einaudi, 2013)
Ammetto di conoscere poco il calcio – lo sport! – e di aver sempre evitato di cimentarmi nel praticarlo, fin dalla più tenera età.
Uno degli aneddoti che venivano raccontati a parenti e amici dai miei genitori, anche per giustificare il mio essere sedentario, risaliva ai miei primi passi: il mio totale disinteresse per il pallone lanciatomi da mio padre, ex calciatore amatoriale, per giocarci insieme è diventato legenda.
Ma perché questo preambolo? Gianluca con questa sua XXI lezione mi ha fatto l’assist per – tadan! – segnare, ispirandomi il libro giusto per il mio consiglio libroterapico.
Infatti partendo dal tema principale della lezione, la fragilità, ho pensato ad un libro uscito qualche anno: La bellezza delle cose fragili di Taiye Selasi.
“… Perché la perfezione esiste, si ostina a esistere nelle cose più vulnerabili…”, questa frase potrebbe essere il motivo sufficiente per la lettura di questo romanzo, una saga famigliare ambientata tra gli Stati Uniti e l’Africa, bello e intenso.
Kweku è ritornato nella sua casa sul mare in Ghana da dove è partito anni prima per diventare un dottore affermato negli Stati Uniti: è un uomo anziano e quelli sono gli ultimi istanti della sua vita. Ha lasciato alle spalle la moglie Fola e i quattro figli e la sua vita fino a quel momento.
Il racconto si dipana poi attraverso i ricordi e i vissuti dei suoi famigliari: affetto incondizionato e legami forti, dolori e distacchi.
Uno dei temi portanti del romanzo nasce dallo scontro tra i due mondi, quello occidentale che ha accolto Kweku anni prima e quello delle sue radici: l’appartenenza, ad una tradizione, ad un valore, ad un sentimento.
Ce ne sono altri, chiaramente, ma non li rivelerò per invogliare alla lettura di un libro che ha il potere di catturarti pagina dopo pagina, grazie anche ad una scrittura limpida e cesellata ma mai ridondante.
E come il titolo dice – una vera e propria dichiarazione di intenti – la bellezza sta proprio nelle cose più fragili, e spesso dolorose, dietro le quali si cela la possibilità di andare avanti con nuove consapevolezze e una nuova forza.
E come ha affermato Gianluca: “Il panico, la paura, il dolore e tutte le emozioni intense che viviamo hanno il potere di forgiare il nostro carattere. Spesso sono delle prove faticose, che ci portano allo stremo delle forze, ma quando ci rialziamo (e non importa se lo facciamo da soli o con l’aiuto di qualcuno) siamo davvero più forti.”
Ecco.
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