Non ricordo bene l’età, so solo che facevo le elementari ed ero in gita. In realtà si trattava di una breve escursione al museo dell’agricoltura della mia città, ma quando sei piccolo basta prendere un autobus e fare pochi chilometri per sentirti in vacanza. Al termine della visita, in attesa che l’autobus ci venisse a riprendere, mi misi a giocare a pallone nel campo antistante il museo con i miei compagni. Ci divertivamo tantissimo fino a quando un ragazzino di un’altra classe ci prese il pallone e non voleva più ridarcelo. Iniziai a insistere, ma quello, neanche fosse suo, lo teneva come un giocatore di rugby e si ostinava a non restituirlo. Tra l’altro non voleva neanche giocare con noi; voleva solo il pallone per sé come per farci un dispetto. Le maestre non c’erano e non potevo chiedere il loro intervento. Così iniziai a insistere e alla fine glielo strappai. Restituì il pallone ai miei compagni e lui cominciò a prendermi in giro. Non ricordo cosa diceva nello specifico, ma nei minuti successivi fu assillante. Lo intimai di smettersela ma quello mi aveva preso di mira e continuava. Mi allontanavo, ma lui mi seguiva. Cominciai a spazientirmi.
– Te lo dico per l’ultima volta, smettila! – gli dissi.
– Uh che paura! Aiuto! – mi schernì.
E non ci vidi più. Come fossi stato impossessato da un mostro, io che fino allora ero stato un bambino docile e paziente (a parte qualche scontro del tutto fisiologico e naturale con mia sorella di un anno più grande), gli saltai addosso. Ruzzolammo a terra, e lo presi da dietro avvinghiandolo con il braccio intorno al collo e iniziai a stringere con tutta la forza che avevo. Lui era bloccato e non riusciva a muoversi; provava a divincolarsi ma non ci riusciva. E io continuavo a stringere sempre di più, a lungo. Ero in preda a una rabbia cieca e se non fosse intervenuto un mio compagno non avrei mollato la presa. Quando lo feci, il ragazzino si piegò su se stesso, rosso peperone in volto, si toccava il collo e cominciò a tossire.
In quell’istante mi resi conto che avrei potuto ucciderlo. Provai pena per lui e fui terrorizzato dal mio istinto omicida. Mi raggelai e dissi tra me e me che non dovevo più arrabbiarmi. C’era una forza distruttiva dentro di me che non sapevo controllare; dovevo reprimerla, non c’erano storie.
E così congelai la mia rabbia, e ogni volta che la sentivo mi allontanavo da ciò che la scatenava e tenevo tutto dentro.
Quante persone scelgono, più o meno coscientemente, questa strada? La rabbia fa paura, sentiamo la sua distruttività e ci accorgiamo degli effetti negativi che produce intorno a noi. Congelarla può sembrare un’ottima soluzione. Ma non lo è!
Una rabbia congelata può renderci molto più esplosivi e pericolosi di chi invece la esprime. In più scava “dentro”, può implodere e, nel lungo periodo, può produrre effetti nocivi alla nostra salute.
La rabbia è un’emozione naturale che ha il compito di difenderci e proteggerci da eventuali pericoli: ne abbiamo bisogno. Il problema quindi non è la rabbia in sé, ma come la esprimiamo. Si tratta infatti di un’energia forte e intensa che ci segnala di un’ingiustizia, di qualcosa che ha invaso il nostro spazio vitale e psicologico (o quello dei nostri cari) e ci prepara a difenderci o ad attaccare.
L’obiettivo quindi non è sopprimerla, congelarla o scaricarla sul pungiball di turno (di solito, purtroppo, il nostro partner, i nostri genitori o, ahinoi, i nostri figli) ma imparare a riconoscerla, accoglierla, gestirla e utilizzarla in modo costruttivo.
In questo modo, e solo in questo, arrabbiarsi fa bene.
Esercizi e suggerimenti
Durata: 20 minuti.
Frequenza: più volte con regolarità fino a quando l’obiettivo viene raggiunto.
Obiettivo: imparare a gestire la rabbia.
Azione: mettiti comodo su di una poltrona in un posto dove nessuno ti disturba, fai un bel respiro e chiudi gi occhi. Lasciati cullare dal tuo respiro immaginando che ad ogni espirazione scendi di un grandino nella scala del tuo rilassamento fisico e mentale. Lasciati accompagnare dalla tua mente in profondità, in quel punto in cui tutto è calmo, come in fondo all’oceano: anche se in superficie è in corso una tempesta, laggiù, in quel fondo, il mare è sempre calmo. Così nella tua mente. Prendi confidenza con questo luogo interiore di calma, dove puoi osservare cosa succede lassù con la giusta distanza e il giusto distacco. In superficie può esserci la bufera rabbiosa, ma quaggiù la puoi osservare e decidere cosa fare.
Immagina che la rabbia può essere di colore rosso: un fuoco che si accende ed esplode. Si tratta della rabbia distruttiva che ha l’obiettivo di difendere te stesso o i tuoi cari da un aggressione senza guardare in faccia l’aggressore. Se ad esempio cammini per strada e uno sconosciuto ti aggredisce alle spalle, questa rabbia ti salva la vita.
Ma la rabbia può essere anche arancione: è la rabbia un po’ meno accesa di quella rossa e mette in guardia chi hai di fronte che stai per arrabbiarti seriamente; la puoi esprimere verbalmente o attraverso i gesti, ad esempio stringendo i pugni o le mascelle: permette a chi ti sta di fronte di capire che la deve smettere e che puoi diventare aggressivo.
Poi c’è una rabbia blu ed è la rabbia fredda che trattieni e non esprimi. Quella che ti porta a nasconderla e in alcuni casi ti toglie dai guai come, ad esempio, venissi fermato da un poliziotto che ti contesta un’infrazione che non hai commesso; manifestare la rabbia, in questo caso, può risultare controproducente.
Infine c’è la rabbia verde: è la rabbia che prende la via della comunicazione assertiva in cui con determinazione e chiarezza comunichi i tuoi pensieri e le tue emozioni nel rispetto dell’altra persona. È la rabbia che non ti pone sulla difensiva con chi hai di fronte ma apre al dialogo. Ti permette di ascoltare e parlare senza lasciarti sopraffare, con la chiarezza di proteggerti e far valere le tue ragioni.
Ora immagina che la prossima volta che ti trovi di fronte ad una situazione che ti fa arrabbiare puoi scendere nel profondo della tua mente dove regna la calma e osservare la superficie agitata dalla giusta distanza. A quel punto puoi scegliere quale rabbia esprimere in funziona del contesto: rossa, arancione, blu o verde. E se non ha senso arrabbiarti, puoi goderti la calma profonda della tua mente.
Il consiglio del biblioterapeuta
Chuck Palahniuk, Rabbia (Mondadori, 2013)
Questa volta la scelta del libro per il consiglio libroterapico è molto didascalica ma senza dubbio giusta per il tema di questa quarantesima lezione.
Rabbia è un romanzo – come tutti i libri di Chuck Palahniuk – adrenalinico e folle.
Ogni volta l’autore americano, noto soprattutto per Fight club, stupisce il lettore con trame spiazzanti ed estreme, fortemente critiche verso il “sistema” e le sue rappresentazioni, ma sempre molto pop.
Ed è per questa ragione che leggerlo diventa un’esperienza unica che può provocare dipendenza o rifiuto e fastidio.
Rabbia è stilisticamente uno dei suoi romanzi più interessanti, infatti il protagonista principale Buster “Rant” Casey viene raccontato attraverso le voci delle persone che lo hanno conosciuto, amato e odiato, stimato o disprezzato.
Il lettore sa fin dalle prime pagine che “Rant” è deceduto – lo è veramente? – in un incidente automobilistico anomalo ovvero durante un party crashing, un gioco nel quale i partecipanti, i notturni, si scontrano con le proprie autovetture cercando di fare più danni possibili.
Chi è Buster e qual è la sua storia? Nato e cresciuto nella provincia americana, con alle spalle una famiglia anomala poco presente, fin dalla sua infanzia si dimostra un bambino “diverso”, poco incline alle relazioni umane, indifferente alle regole e con un pericoloso atteggiamento di sfida verso tutti e tutto.
Coltiva fin dalla prima giovinezza l’anomala passione di farsi mordere da insetti, ragni e serpenti al punto che diventa immune al veleno e portatore del virus della rabbia.
Inoltre come Grenouille, il protagonista de Il profumo e della precedente lezione, ha sviluppato un fortissimo olfatto che gli permette di comprendere molto delle persone che incontra.
Crescendo il suo carattere ribelle si mostrerà in modo estremo e distruttivo, divenendo leader dei “notturni” – molti dei quali verranno deliberatamente infettati dalla rabbia – e star dei party crashing.
E sarà proprio la rabbia lo strumento per modificare gli eventi e le vite di tutti.
Il romanzo ruota intorno al tema della rabbia: metafora della vita di una singola esistenza singola e di tante in un mondo sopraffatto, dove non c’è più spazio per la persona nel suo essere individuo.
Un futuro distopico dove il controllo delle menti è sempre più presente e condizionante.
Leggere Rabbia in funzione di questa lezione può permettere di comprendere quanto sia importante conoscere le cause della rabbia – in tutte le sue espressioni – proprio perché in questo modo potremmo riuscire a risolverla, dopo averla accolta, e a usarla a nostro favore e non contro di noi.
Ripensando a Buster, sorgono diversi interrogativi: se quella rabbia fosse stata riconosciuta al suo apparire? Se i suoi genitori non fossero stati troppo “distratti” quale avrebbe potuto essere la sua vita?
Beh, questo è solo un romanzo, ma le domande non sono narrazioni.
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