Quando venne da me, Elena era in pensione già da qualche anno. Aveva perso da poco il marito e, non avendo figli e nipoti, si sentiva particolarmente sola. I soldi non le mancavano, anzi, era l’unica cosa che – come disse lei – riusciva a fare con relativa semplicità. Aveva iniziato a lavorare come infermiera e si era accorta di avere questo talento naturale nell’ideare strumenti elettromedicali che semplificavano e ottimizzavano il lavoro dei medici e dei suoi colleghi. Insieme al marito aveva perciò fondato un’azienda che le aveva garantito una fortuna. Nel momento in cui venne da me poteva collocarsi a tutto diritto nella classica categoria dei ricchi infelici a conferma di quel detto comune che “i soldi non fanno la felicità”.
In realtà lei dichiarava di essere felice di essere ricca, e che sarebbe stata molto peggio se non avesse avuto i soldi. Elena non ostentava la ricchezza e non aveva mai utilizzato il denaro per fare shopping compulsivo o circondarsi di oggetti inutili. Proveniva da una famiglia di umili origini, aveva vissuto la povertà durante l’infanzia e la gioventù, e aveva imparato a dare il giusto valore ai soldi: erano un semplice mezzo per ottenere ciò di cui aveva bisogno, non un fine.
– Sa, dottore, i soldi non danno la felicità – disse un giorno. – Ma la libertà, quella sì! Ad esempio, se non fossi ricca non avrei la libertà di scegliere il migliore specialista per curare i miei acciacchi o più semplicemente di andare in un ristorante e scegliere di ordinare quello che mi va senza guardare il prezzo. È un grande privilegio, me ne rendo conto, sarebbe bello che tutti lo avessero.
Aveva sempre devoluto una cospicua parte degli introiti in fondazioni e in beneficenza.
Sistematicamente cominciava ogni seduta con un’idea imprenditoriale:
– Sto valutando di comprare della terra; con tutte queste lottizzazioni, rappresenta sempre più una ricchezza rara.
– Ho letto che c’è un aumento esponenziale di persone che soffrono di celiachia. Vorrei aprire un negozio di alimentari che vende esclusivamente prodotti per celiaci.
– Ci sono sempre più vecchi. Investire nelle case di riposo è il futuro.
E così via.
Rimanevo affascinato da come le venisse naturale individuare fonti di investimento: si trattava di una vera e propria capacità che io non possedevo (e che non possiedo tuttora). Ma quello che mi affascinava ancor di più, era di quanto il suo rapporto con il denaro fosse incredibilmente diverso dal mio, molto più sano e produttivo.
Lei associava i soldi al valore della libertà, e per questo amava il denaro e, probabilmente, le restava così facile procurarselo.
Io, nonostante la libertà occupasse il primo posto nella mia scala dei valori, consideravo il denaro come una costrizione: rappresentava l’equivalente delle ore passate a lavorare. Desideravo un paio di scarpe tre ore di lavoro, una cena al ristorante due ore, un breve viaggio trenta ore e così via. Insomma spendere diventava una pena e così, spesso, rinunciavo a ciò che desideravo.
Avere un pessimo rapporto con il denaro è come dover condividere l’ufficio con un collega antipatico e scorbutico che non andrà mai in pensione perché, volenti o nolenti, il denaro è un nostro compagno di vita. Un compagno che non è scorbutico o antipatico in sé, ma che lo diventa in funzione di come ci relazioniamo a lui.
E se da un compagno scorbutico o antipatico possiamo ottenere poco o nulla, da uno cortese e simpatico invece possiamo ottenere molto. Magari non la felicità (sembra che non sia in vendita) ma una buona dose di spensieratezza che ci libera dall’ossessione del denaro, quella certamente sì.
E non è poco.
Esercizi e suggerimenti
Durata: varia.
Frequenza: ogni volta che capita.
Obiettivo: comprendere e modificare il proprio rapporto con il denaro.
Azione: l’idea che abbiamo dei soldi – e che ne condiziona quindi il rapporto – è come una cipolla il cui nucleo è circondato da una serie di significati attribuiti dalla nostra educazione, dai nostri valori, dalla nostra cultura, dalle nostre esperienze. Molti di questi significati sono inconsci, agiscono in automatico senza che ce ne rendiamo conto. Se, ad esempio, un’educazione cattolica ti ha trasmesso che “i ricchi non entreranno nel regno dei cieli”, potresti associare al denaro una connotazione moralmente negativa, considerarlo inconsciamente qualcosa che mette a repentaglio la tua integrità e per questo considerarlo “sporco”. Se ti rendi conto che non è il denaro in sé a essere giusto o sbagliato, morale o immorale, ma come viene speso, puoi eliminare la connotazione di “sporco” e considerarlo un semplice mezzo per investirlo in attività e beni che alimentano la tua integrità personale e i tuoi valori cattolici.
Analizza quindi il tuo rapporto con il denaro: senti di avere un buon rapporto, sereno e libero? Se la risposta è no, individua gli strati che circondano la tua idea dei soldi e mettili in discussione chiedendoti: dove ho appreso questa idea? È corretta? La ritengo davvero giusta? Come posso eliminarla? Con quale idea più costruttiva posso sostituirla? Individua tra le persone che conosci e stimi quelle che hanno un ottimo rapporto con il denaro: “studiale” e prendile a modello per modificare la tua idea dei soldi.
Il consiglio del biblioterapeuta
Joël Dicker, Il libro dei Baltimore (La Nave di Teseo, 2016)
Marcus Goldman conosce bene la differenza.
Fin da piccolo si è confrontato con il cugino, osservando e comprendendo come e quanto le diverse possibilità economiche delle rispettive famiglie li abbia condizionati, non nel legame affettivo ma nella concretezza delle possibilità.
Ha compreso fin dalla più tenera età il valore del denaro.
Questo è “tema” che tocca indistintamente ognuno di noi, sempre.
Può essere netto e contrastato come nel gioco di luci e ombre di un chiaroscuro o più sfumato e morbido come in un acquarello.
Marcus è il protagonista de Il libro dei Baltimore di Joël Dicker, lo stesso del precedente La verità sul caso Harry Quebert, uno dei casi editoriali internazionali degli ultimi anni.
Due romanzi dalla struttura narrativa simile, due gialli “atipici” avvincenti e appassionanti.
Se la trama del secondo ruota intorno al rinvenimento – nel giardino di Harry Quebert scrittore e insegnante di Marcus – del corpo di una giovane donna scomparsa trenta anni prima, il primo racconta invece la storia dei Goldman, il ramo di Baltimore e quello di Montclair, e ci conduce allo svelamento del segreto – forse anche più di uno – che ha causato insanabile frattura tra le due famiglie.
Marcus appartiene ai Goldman di Baltimore: la sua è una famiglia modesta, che vive con dignità nonostante le difficoltà del quotidiano.
Marcus ha un rapporto strettissimo con il cugino Hillel che invece è un Goldman di Baltimore, ricchi e potenti.
I due sono come fratelli, legati da un affetto profondo che non è condizionato dal diverso status quo.
Nonostante questo però Marcus è consapevole di come quel “potere” sia in grado di modificare e condizionare la vita non solo negli aspetti materiali ma oltre, nella profondità dei vissuti delle persone.
Questa consapevolezza gli permetterà di “scoprire” quale sia quel segreto.
Ho apprezzato molto “Il libro dei Baltimore” che affronta moti altri temi: infatti quello del denaro è il tema portante, poi emergono gli altri come quello delle verità non dette e dell’ipocrisia, dell’amicizia, della rivalità.
Senza dubbio però, per chi ha o ha avuto un brutto rapporto con i soldi – e le ragioni possono essere diversissime per ognuno di noi – questo romanzo ha un valore catartico: permette di spostare l’attenzione da noi verso l’esterno e osservando e ascoltando la storia di Marcus, permettere a sé stessi di porsi in una dimensione diversa più oggettiva.
Forse nell’immediatezza non si riusciranno a risolvere le problematiche contingenti ma ci darà la possibilità di porci in modo diverso, alleggerendoci da quel carico di pensieri condizionanti.
E poi se rileggi la lezione, puoi comprendere quanto il problema denaro riguardi anche chi lo ha.
E quanto, imparare a relazionarci in modo sano con il denaro, sia fondamentale.
© riproduzione riservata
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