Uno dei momenti più belli della mia giornata è quando preparo i miei figli per andare a letto; in particolare Elia, il più grande, con cui, data l’età (4 anni), c’è molta più interazione rispetto al piccolo. La preparazione è un momento di gioco, di scherzi, di chiacchiere, di divertimento: un momento speciale in cui “recuperare” la lontananza forzata dopo un’intera giornata di lavoro fuori casa.
A volte però questo momento diventa una vera e propria battaglia. Elia non ne vuole sapere di svestirsi, lavarsi e mettere il pigiama. Qualsiasi diversivo, scherzo o gioco non hanno alcun potere. Quando lo costringi, Elia si mette a piangere, fa mille capricci e con le lacrime agli occhi mi dice – Papà, vai via, vai via, vai via, non ti voglio!
Lo ripete guardandomi negli occhi e respingendomi fisicamente con le braccia e con le gambe. E più mi avvicino e insisto, più ripete: – Papà, vai via!
La cosa terribile è che sento tutta la sua sincerità in quello che dice: Elia davvero non mi vuole. E infatti lo ribadisce e quasi sempre chiude con la frase – Voglio mamma!
Le prime volte che questo succedeva sentivo una vera e propria pugnalata al cuore: non riuscivo ad accettare il rifiuto di mio figlio, per cui provo un amore viscerale incondizionato. Non lo meritavo, non gli avevo fatto nulla di male.
Mi sentivo ferito, arrabbiato, triste. Indispettito chiamavo la madre e me ne andavo lasciandolo con lei, quasi volessi farlo sentire in colpa per avermi trattato in malo modo. Insomma, in quel momento mi dimostravo molto più infantile di lui.
In una di queste sere terribili, dopo averlo cambiato lei, mia moglie mi chiama: – Gianluca, vieni. Elia vuole dirti qualcosa.
Quando arrivo, Elia mi guarda con degli occhioni da cerbiatto e mi fa: – Papà, scusa!
Queste parole mi sciolgono e ogni ferita emotiva si rimargina all’istante. L’ho stretto in un abbraccio fortissimo e mi sono sentito un idiota, un emerito idiota. Non era lui che doveva scusarsi ma io. Io perché non avevo ancora capito che quei capricci non erano un’espressione di un rifiuto nei miei confronti, ma semplicemente un segno di stanchezza. Quando è stanco Elia, come molti bambini, diventa facilmente irritabile e scontroso: è il suo modo di esprimere la stanchezza. E non posso pretendere che un bambino di quattro anni abbia la consapevolezza e la capacità di gestire le proprie emozioni; non ci riesco io che sono adulto!
Da allora ho imparato a riconoscere questo stato d’animo di Elia: quando mi dice di andare via, non me la prendo più. È solo stanchezza, penso. Così mantengo la calma; se la mamma è disponibile la chiamo e se non lo è mi invento nuovi espedienti per riuscire a prepararlo per andare a dormire.
E lo stato d’animo turbolento di Elia passa veloce come un temporale estivo. Papà è sereno, Elia è sereno, possiamo andare a letto, leggere una favola e addormentarci felici.
Esercizi e suggerimenti
Durata: 30 secondi
Frequenza: al bisogno.
Obiettivo: accettare gli stati d’animo delle persone che ci circondano.
Azione: spesso ci aspettiamo che le persone intorno a noi siano sempre coerenti, lucide e abbiano un comportamento impeccabile nei nostri confronti. Quando non rispettano queste aspettative ci sentiamo delusi e feriti, il nostro equilibrio emotivo ne viene intaccato e spesso reagiamo con rabbia, tristezza, chiusura o rancore. Quello che in questi casi rischiamo di scordarci è di avere di fronte una persona che, come noi, è governata da stati d’animo che ne condizionano i comportamenti. Se riusciamo a “leggerli”, accoglierli e accettarli, riconoscendoli come espressioni fisiologiche e umane, possiamo non lasciarci “toccare” e mantenere la nostra serenità. Inoltre il nostro atteggiamento farà sentire la persona accettata e non intaccherà il rapporto con lei.
Perciò quando rimani deluso da un comportamento di una persona, blocca la tua reazione automatica e fermati per qualche istante a riflettere sintonizzandoti in modo empatico su di lei e non su quello che suscita in te. Chiediti: qual è il suo stato d’animo? Cosa potrebbe turbarla? Il suo comportamento è dovuto da semplice stanchezza, stress, nervosismo, preoccupazioni? Se tu rappresenti per lei solo un momentaneo pungiball, come puoi reagire al meglio per rimanere sereno e allo stesso tempo aiutarla? Pensa davvero le cose che dice o sono condizionate dal suo stato d’animo? Nell’eventualità fossi tu la causa del suo turbamento, è il momento migliore per chiarirsi o è meglio rimandare a quando le acque sono più calme?
Se alla fine della riflessione scopri che il suo comportamento è dettato solo da un suo turbamento emotivo e che tu non c’entri niente, lasciala sfogare fino in fondo: è solo un segno naturale della sua umanità e il caso è chiuso.
Se invece scopri che il suo turbamento dipende da te o da qualcosa che hai fatto, concorda con lei un momento per parlare, confrontarvi e chiarirvi.
Il consiglio del biblioterapeuta
Miriam Toews, I miei piccoli dispiaceri (Marcos y Marcos,)
Cosa è l’accettazione? In che modo può mostrarsi e dimostrarsi?
Come può impattare nella nostra vita e soprattutto cosa può determinare?
La parola chiave di questa lezione mi ha rimandato ad un libro bello e intenso che, nonostante il tema principale sia difficile e doloroso, commuove e fa sorridere mettendo il lettore in forte discussione rispetto ad alcuni principi etici e soprattutto rispetto alle proprie paure.
Il libro in questione è I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews.
Elf e Yoli sono due sorelle diversissime unite da un legame fortissimo seppur contrastato.
Elf è una donna ricca di talenti, una concertista affermata e richiesta dai più grandi teatri del mondo, sagace, intelligente. Se questo poi non fosse già di per sé sufficiente è anche dotata di un grande fascino e un’evidente bellezza.
È strutturata, ammirata ed amata. Eppure.
Yoli invece è il suo esatto opposto: approssimativa, incasinata, incapace di gestire relazioni a breve e lungo termine, madre di due figli avuti da due differenti relazioni che l’hanno segnata e provata e sempre fuori dagli schemi.
È anche lei dotata di un talento di cui non riconosce il valore e che di conseguenza non è stata in grado di utilizzare nel lavoro anche a causa della sua poca autostima.
È una donna distratta dal suo vivere giorno per giorno, una madre presente, una donna sensibile.
Poi improvvisamente avviene l’impensabile, ciò che rompe tutti gli equilibri famigliari e soprattutto il rapporto già complicato tra le due sorelle.
Elf tenta il suicidio. E non è la prima volta.
Ciò che è sempre apparso agli occhi delle persone a lei vicine non corrisponde a ciò che Elf pensa di sé e prova interiormente.
Sì, perché Elf vuole morire. E la sua è una scelta determinata, pensata e voluta fortemente.
Le reazioni delle persone a lei vicine davanti questa “determinazione” si riassumono in una domanda: come si può accettare questa volontà?
Yoli, come si sarà intuito, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della vicenda, anche perché proprio a lei Elf chiederà aiuto e appoggio.
La sinossi non rende a pieno l’intensità de I miei piccoli dispiaceri che nella sua drammaticità e nel suo essere “estremo” ha uno slancio vitale inaspettato.
Questo è un romanzo che ti accoglie nel calore di un abbraccio, inizialmente rifiutato e poi accettato e condiviso.
Questo è romanzo che può spaventare e che richiede un impegno serio ma che lascia una traccia profonda e determina una crescita in chi legge.
Sono consapevole che la mia scelta questa volta possa sembrare estrema ma ti assicuro che questo romanzo spiega perfettamente il significato di accettazione e quanto questa possa modificare la percezione di sé stessi, determinando prima un forte cambiamento in noi stessi e poi anche nel modo di vedere gli altri intorno a noi.
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