A un certo punto della presentazione di un suo libro, chiesero a Massimo Recalcati, noto psicoanalista lacaniano, cosa fosse per lui la felicità. Nell’attesa della risposta, mi chiesi cosa avrei risposto io, e in una frazione di secondo sentii una voce interiore dire: viaggiare, per te è viaggiare!
Quella voce interiore aveva un tono entusiasta, come se dovessi partire all’indomani per un lungo viaggio. La conoscevo bene: esprime una parte di me che vive il viaggio come una esperienza di libertà, curiosità e conoscenza. Non semplicemente come rottura di una routine quotidiana, ma come espansione di sé, arricchimento, vitalità. I viaggi rappresentano la colonna sonora della mia vita e che non posso farne a meno me ne sono accorto diversi anni fa una domenica pomeriggio. Avevo appena ristrutturato casa e il conto in rosso mi aveva impedito di partire come ero solito fare durante l’inverno. Guardavo la trasmissione Alle falde del Kilimangiaro e mi accorsi che, durante un servizio su un viaggio in India, avevo le lacrime agli occhi: mi sentivo triste. Spensi la tv e dissi che non doveva più succedere di ritrovarmi senza i soldi per prendere un aereo. Accesi il pc e aprì un conto corrente online in cui avrei messo una piccola somma mensile per finanziare i viaggi: non importa se andavo in rosso, quei soldi non si dovevano toccare. Ancora oggi mantengo questa sana abitudine, e sapere di avere quel gruzzoletto a disposizione mi fa star bene e libero di partire, anche se il conto di casa è in rosso.
Mentre alla velocità della luce la mente mi portava nella mia dimensione felice del viaggio, Massimo Recalcati rispose: per me la felicità sta nella ripetizione!
Rimasi sorpreso e affascinato dalla sua risposta, totalmente opposta alla mia, a quel viaggiare che mi rende totalmente immerso nella novità e nel non conosciuto.
Recalcati spiegò che provava felicità nella sicurezza di trovare ogni giorno le cose che gli piacevano e lo facevano stare bene. Il cappuccino a colazione, ad esempio, sempre quello, identico a se stesso, sempre buono. Svegliarsi e sapere che quel cappuccino lo aspettava tutte le mattine lo rendeva felice. Così come incontrare la moglie che ama e tutte le altre cose che fanno parte della sua routine.
Mentre spiegava, mi accorsi di quanto fosse istruttiva questa visione della felicità e di come riportasse l’attenzione al qui ed ora, piuttosto che al là e allora del viaggio. Quante volte d’altronde ci capita di collocare la felicità nel futuro, come ad esempio quando attendiamo ciò che faremo nel week-end, o negli effetti del raggiungimento di un importante obiettivo (quando sarò laureato, quando avrò un contratto a tempo indeterminato, quando avrò dei figli, quando sarò in pensione e via così). Insomma se abbiamo una certezza, questa è il nostro presente e la nostra routine, perché non cominciare a colorarla di piccole cose, magari banali e ripetitive, che ci rendono felici?
Le ricerche sulla felicità d’altronde dimostrano che uno degli ingredienti che rende le persone felici è nel trovarsi immersi in uno stato di flusso (flow) che avviene quando siamo impegnati in un’attività che ci piace e stimola le nostre abilità: siamo completamente concentrati, sereni, perdiamo la nozione del tempo, avvertiamo una chiarezza interiore e ci dimentichiamo di noi stessi. E molte attività quotidiane hanno il potere di attivare questo stato: fare sport, ascoltare musica, suonare uno strumento, cucinare, camminare, stare con gli amici, leggere, scrivere, cantare, ballare. Ognuno può scoprire e coltivare le proprie, inserendole nella propria quotidianità.
Crearsi una routine felice non esclude la ricerca della felicità nel raggiungimento degli obiettivi, ma la integra e la sostiene. Insomma, come già scritto, ci permette di goderci il percorso verso la vetta.
Mentre la routine diventa il viaggio!
Esercizi e suggerimenti
Durata: 30 minuti
Frequenza: una volta (più eventuali integrazioni)
Obiettivo: creare una routine felice.
Azione: prendi un block notes, una penna e dei colori. Analizza una tua settimana tipo. In ogni foglio (uno per ogni giorno della settimana) elenca, una per riga, le singole attività che compongono la tua routine indicando l’orario di inizio e di fine . Esempio: Lunedì: 00.00-7.00 sonno, 7.00-7.15 sveglia, doccia, vestirsi, 7.15-7.45 colazione, 7.45-8.15 tragitto casa lavoro in auto, 8.15-8.30 arrivo al lavoro, saluto ai colleghi, preparazione agenda lavorativa, 8.30-9.30 riunione e via così fino al momento in cui prendi sonno.
Una volta terminato l’elenco settimanale scegli tre colori: uno che ti piace molto, uno che non ti piace e uno neutro, e utilizzali per sottolineare le attività che sono per te piacevoli, spiacevoli e neutre.
A questo punto analizza le attività spiacevoli e neutre e chiediti cosa puoi modificare affinché possano diventare piacevoli? Quali piccoli cambiamenti puoi introdurre? Con quali altre attività puoi sostituirle?
Ad esempio, se ti rendi conto che la colazione è un’attività neutra perché prendi un caffè di corsa, puoi decidere di svegliarti un quarto d’ora prima e prepararti delle cose prelibate che ti gusti con calma; se il tragitto in auto è spiacevole perché trovi sempre traffico puoi renderlo utile e piacevole ascoltando della musica o sintonizzare la radio su un programma interessante o utilizzare questo tempo per ascoltare qualcosa di interessante che hai scaricato da internet; se la preparazione della cena è neutra puoi arricchirla gustandoti un calice di un buon vino accompagnato da qualche snack e così via.
Probabilmente ti accorgerai che non tutte le attività diventeranno piacevoli, ma puoi sempre introdurre un’attività piacevole subito dopo una spiacevole. Rappresenterà un piccolo premio che allevia il “peso” dell’attività precedente, come concedersi 20 minuti di ozio creativo (in altre parole, non far nulla!) dopo diverse ore di studio o di lavoro.
Ripeti l’esercizio dopo qualche mese, nota i cambiamenti e “studia” come migliorare ulteriormente la tua routine.
Il consiglio del biblioterapeuta
Susin Nielsen, Gli ottimisti muoiono prima (Il Castoro, 2017)
“La felicità sta nella ripetizione”.
Quest’affermazione di Recalcati è un ottimo spunto per fare una riflessione attenta non tanto sulla sua veridicità quanto sulla sua “pericolosità”.
Il fare sempre gli stessi gesti, l’avere una routine quotidiana, non può essere interpretato come qualcos’altro di più complesso che richieda una comprensione più attenta e profonda?
Per questa ragione ho subito pensato a Petula.
Ogni giorno compie lo stesso identico tragitto per andare a scuola e per ritornare a casa e ripete costantemente alcuni comportamenti.
Colleziona articoli di cronaca che testimoniano incredibili morti accidentali.
Inoltre Petula non ha molti amici ed evita il più possibile i contatti con i compagni di scuola evitando di interagire con loro, si mantiene distante anche dalla sua ex amica del cuore.
È evidente (al lettore) che questo comportamento di Petula cela molto di più e quel cinismo che la contraddistingue è probabilmente una barriera a protezione dal mondo e da qualcosa molto più grande di quanto lei stessa voglia e riesca ad ammettere.
Per queste sue difficoltà Petula, su “invito” del preside del suo liceo, deve partecipare alle attività di un gruppo di arte terapia del quale fanno parte altri tre compagni di scuola che vivono una grave difficoltà emotiva e psicologica.
Non è già molto facile così e quando nel gruppo entra Jacob, un nuovo studente, le cose per lei si complicano ulteriormente: bello, simpatico e intelligente e, nonostante l’ostilità che dimostra nei suoi confronti, interessato a Petula.
Chi è Jacob? Qual è il suo passato? Perché ha cambiato scuola? E come mai ha un arto artificiale?
Un po’ alla volta i dolorosi aspetti delle vite dei cinque ragazzi emergeranno e anche grazie a un legame fatto di empatia e supporto reciproco riusciranno a risolversi, portando ognuno di loro a compiere un passo concreto verso la loro vita adulta e il loro benessere.
Soprattutto Petula modificherà il suo modo di essere anche grazie a una particolare attività, che le permetterà di concentrarsi su se stessa, trasformandola da inguaribile cinica, negativa e spaventata, in una persona più positiva e disponibile alla vita.
Tutto questo è raccontato con grande leggerezza in Gli ottimisti muoiono prima un titolo “forte “ ma certamente ironico, un romanzo rivolto sì a un pubblico di giovanissimi ma anche agli adulti per comprendere senza arzigogoli alcuni aspetti del loro atteggiamento verso la vita.
E comprendere quindi che la felicità si compone certo di piccole costanti quotidiane ma che uno scopo, un progetto, un’attività specifica permette di realizzarci e rendere concreto quella cosa chiamata felicità.
© riproduzione riservata
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