# 051 | La spontaneità di non essere spontanei

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Lo chiamavamo Mad Max perché gli saltava subito la mosca al naso, andava in escandescenza anche per una cosa innocua come lo squillo del telefono. Ma appena tirava su il telefono ostentava grande calma e un’eleganza impeccabile. Era assolutamente incredibile. Riagganciava e ritornava il solito Mad Max”.

La scena tratta dal film The Wolf of Wall Street che mostra la reazione del padre di Jordan Belfort quando, comodamente seduto di fronte alla tv mentre guarda la serie televisiva Un giustiziere a New York, riceve una telefonata è esilarante. E Mad Max è l’emblema della schizofrenia che si instaura tra il contenere le emozioni mostrando un aplombe ammirevole e il dargli libero sfogo esibendo il peggio di sé, come se fossero l’espressione di due persone dai caratteri diametralmente opposti.

Sebbene Mad Max sia una caricatura cinematografica, non è difficile identificarsi. Quante volte ci capita di indossare in pubblico perfette maschere gentili da persone perbene che nascondono vulcani emotivi che poi lasciamo eruttare solo nel privato al cospetto, purtroppo, dei nostri cari?

Al lavoro, ad esempio, se veniamo umiliati e svalutati dai nostri superiori riusciamo a mantenere comunque il controllo: ci dimostriamo cordiali, accoglienti, benevoli benché proviamo rabbia, ingiustizia, delusione, sconforto; e appena arriviamo a casa diamo libero sfogo a tutte queste emozioni, incuranti dell’effetto che può produrre sui familiari.  Come Mad Max che se la prende con la moglie, come se fosse lei la colpevole di quell’interruzione della quiete domestica.

Perché ci permettiamo di dare il peggio di noi con le persone che amiamo, quando sono proprio loro quelle a cui dovremmo fare più attenzione e prestare maggior cura?

Succede perché, almeno a casa, vogliamo sentirci liberi di essere spontanei gettando al vento tutte quelle finte maschere, e perché crediamo (illudendoci!) che le relazioni più intime siano sufficientemente forti da reggere il contraccolpo dei nostri sfoghi. Ma così non è, e non a caso molte persone riescono a mantenere il posto di lavoro ma perdono il partner!

A volte sarebbe meglio manifestare più spontaneità in pubblico e indossare una buona maschera in famiglia per proteggere i nostri cari dai nostri sfoghi distruttivi. Non significa mentire o essere ipocriti, significa scegliere di agire in base ai valori profondi che guidano le nostre azioni: l’amore e il rispetto vengono prima della libertà di esprimere senza filtri le nostre emozioni potenzialmente distruttive.

Ma c’è un aspetto positivo delle maschere che indossiamo in pubblico: rappresentano delle vere e proprie competenze sofisticate che padroneggiamo alla grande: non sono buone o cattive in sé, ma dipendono da come e dal contesto in cui le utilizziamo. Rappresentano delle risorse da utilizzare e possono essere adattate al nostro stile, esattamente come un abito che ci piace e che sentiamo nostro.

Se trattate con consapevolezza, possiamo scegliere quando e come indossarle e, paradossalmente, essere spontanei.

Esercizi e suggerimenti

Durata: 30 secondi.

Frequenza: al bisogno.

Obiettivo: scegliere il modo migliore di agire a dispetto delle emozioni.

Azione: ogni volta che non esprimi apertamente o non segui le tue emozioni e ti comporti in modo diverso,  ad esempio quando sei arrabbiato e ti dimostri cortese o quando provi paura e ti dimostri calmo o quando sei triste e dimostri buonumore, è una prova che possiedi la capacità di gestire le tua parte emotiva e di scegliere come agire. In altre parole, anche se non hai il controllo diretto sulle emozioni, puoi controllare direttamente il tuo comportamento. Fai attenzione perciò alle situazioni in cui metti in atto questa capacità e riconoscine il valore. Come uno strumento che fa parte della tua cassetta degli attrezzi, utilizzala quindi con consapevolezza nei contesti in cui nei hai bisogno. Se ad esempio devi parlare in pubblico, puoi affrontare l’evento nonostante provi ansia, ancorandoti alla tua capacità di ostentare calma; se i tuoi figli ti fanno perdere la pazienza e sei propenso a rimproverarli in modo isterico, puoi appellarti alla tua capacità di accogliere con gentilezza le richieste ripetitive di un cliente insoddisfatto e trattarli con rispetto; se lo sconforto ti spinge a rinunciare a fare l’attività fisica che sai che ti farà bene, puoi fare perno sulla tua capacità di impegnarti anche in ciò che non vuoi come quando sei al lavoro e farla comunque, e così via.

Il consiglio del biblioterapeuta

nodi al pettine marie aude murailMarie-Aude Murail, Nodi al pettine (Giunti, 2011)

Qualche sera fa al rientro a casa dopo un,a difficile giornata lavorativa ho rischiato di scaricare sulla mia metà tutta la rabbia e la frustrazione accumulata nelle ore precedenti.

Sono stato però in grado di controllare quel moto emotivo che avrebbe potuto travolgere tutto e tutti senza distinzione.

Si impara sempre dai propri errori passati e così ho evitato il grande rischio di creare una tensione che avrebbe potuto diventare distruttiva oltre che autodistruttiva.

È proprio vero che “spesso ci capita di indossare in pubblico perfette maschere gentili da persone perbene che nascondono vulcani emotivi che poi lasciamo eruttare solo nel privato al cospetto, purtroppo, dei nostri cari.”

È ciò che mi è capitato.

Ed è anche ciò che capita al padre del quattordicenne protagonista di Nodi al pettine di Marie-Aude Murail.

Louis, questo è il suo nome, è un giovane liceale che per un compito scolastico deve fare uno stage lavorativo di una settimana (la nostra “alternanza scuola-lavoro).

A differenza dei suoi compagni che hanno trovato delle mansioni molto interessanti Louis non ha ancora scelto: è indeciso, non sa proprio cosa fare.

Poi inaspettatamente, complice anche la nonna che “agevola” la scelta del nipote, Louis ha una vera e propria rivelazione.

Dopo averla accompagnata dal parrucchiere ed essere rimasto affascinato dalla magia che si respira nel salone di bellezza “Maitiè Coiffeur” – fascinazione che la nonna coglie nello sguardo attento e meravigliato del ragazzo – sceglie di proporsi, dopo essere stato “sollecitato”, per diventare il nuovo apprendista.

Subito dopo però si rende conto di quanto quella scelta possa essere fraintesa, non solo dai compagni di scuola ma anche dai famigliari, in particolar modo dal padre.

Così Louis decide di nascondere a tutti la sua scelta. Complice la nonna che lo copre e lo protegge, inizia a frequentare con sempre maggiore curiosità e interesse il salone: approfondisce la conoscenza dell’anziana proprietaria Maitiè, del talentuoso parrucchiere Fifì, della bellissima Claire e della giovanissima Garance.

Louis è anche affascinato dalle storie delle clienti, dalle loro vite che si disvelano in modo inaspettato tra una messa in piega e una permanente o che si nascondono dietro la scelta di una parrucca.

Scopre inoltre un’altra cosa, la più importante, quella che determinerà il suo presente e il suo futuro: la sua attitudine e la passione per “quel” lavoro.

Il suo segreto purtroppo però un po’ alla volta verrà a galla ma a questo punto non posso e non voglio aggiungere di più.

Rivelo solo che uno dei momenti topici del romanzo – ancora una volta un libro per giovanissimi lettori – vede protagonista proprio il padre di Louis.

L’uomo, un professionista stimato e con una buona cultura, pagina dopo pagina grazie all’abilità della scrittrice francese, rivelerà i suoi “luoghi oscuri” e vedrà la sua maschera di perbenismo e rabbia trattenuta cadere rovinosamente.

Un personaggio sul quale riflettere dopo aver fatto propria questa nuova lezione, per imparare a gestire nel migliore modo possibile le proprie emozioni, anche quelle più negative.

Buona lettura.

© Riproduzione riservata

Gianluca Antoni

Gianluca Antoni

Psicologo Psicoterapauta Ipnotista, Career Coach, Formatore, Scrittore

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