Perché il vuoto vero è una cosa tremenda. Il vuoto vero non è il niente. Il niente è troppo poco.
Per dire, ecco due scene.
Uno: arrivi in una camera d’albergo e apri un cassetto per metterci la tua roba, il cassetto è vuoto e cominci a infilarci mutande magliette e calzini.
Due: torna a casa tua, nel cassetto più basso dell’armadio tieni tutti i soldi che hai, nascosti in una scatola di scarpe. Ti pieghi, lo apri, il cassetto è vuoto.
Ecco, questi sono due cassetti, e tutti e due sono vuoti. Ma sono la stessa cosa?
Non penso proprio.
Perché il vuoto vero non è il niente, ma il niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa. Qualcosa di importante, che c’è sempre stato, poi a un certo punto guardi e ti accorgi che quella cosa non c’è più…
Ecco, questo è il vuoto.
(Fabio Genovesi, Esche vive)
Avevo appena finito di trascrivere questo brano quando Giacomo, entrato nel mio studio e sedutosi sulla poltrona, ha esordito con queste parole: – Sono state due settimane terribili, ho sentito un vuoto incredibile, non avevo voglia di far nulla, solo di dormire tutto il giorno e, terrificante a dirlo, di morire.
Sebbene sia rimasto un po’ sorpreso da questo esordio – anche se, data la frequenza con cui capitano, la sincronicità nei pensieri in terapia non dovrebbe più stupirmi – ho colto al balzo l’occasione per lavorare su quel senso di vuoto.
Giacomo è un manager aziendale che si era rivolto a me preoccupato per un abuso di alcol e di cibo che nell’ultimo periodo non riusciva più a controllare. Inizialmente non pensava che lo psicologo potesse aiutarlo, in fondo aveva sempre risolto i problemi per conto suo, ma un tentativo, magari solo per imparare a gestire lo stress che il lavoro gli dava, si poteva fare e, di sicuro, avrebbe tranquillizzato la sua famiglia che era molto preoccupata per il suo stato di salute.
Da uomo curioso e collaborativo qual è, Giacomo ha manifestato grande interesse per l’ipnosi, rimanendo stupito di quanto fosse piacevole viverla e dei giovamenti che si manifestavano nella sua vita. Senza che lavorassimo specificatamente sull’abuso di alcol e di cibo, aveva ridotto spontaneamente il bere e il mangiare e si sentiva meglio, fino al crollo comunicato nell’ultima seduta.
– Cos’è successo? Perché improvvisamente è comparso questo senso di vuoto? – mi chiede.
– Perché ha smesso di riempirlo di alcol e cibo, – rispondo io.
Aggiungo che la sua reazione non mi sorprende, anzi, che me l’aspettavo. Siamo arrivati al nocciolo del problema, a quel nucleo depressivo che veniva coperto dagli abusi. Ora sì che possiamo trovare la soluzione.
Gli racconto del passo di Fabio Genovesi e glielo leggo. Lui ascolta attento, annuendo per tutto il tempo.
– Vero, è proprio quello che ho provato io. Il vuoto non è il niente, ma il niente dove dovrebbe esserci qualcosa.
– Bene, Giacomo – ribatto. – Ora abbiamo due strade. La prima: ricominciare a colmare quel vuoto con l’alcol e il cibo. La seconda: scoprire cosa manca che ci dovrebbe essere. Quale scegli?
Sebbene la riposta sia scontata, non lo è per tutti. Molte persone, pur di non sentire quel vuoto, passano l’esistenza a colmarlo con dei palliativi: non solo alcol e cibo, ma anche fumo, droga, relazioni insoddisfacenti, psicofarmaci, lavoro, sesso, gioco compulsivo e altro ancora. Questo perché quel vuoto fa paura ed è doloroso.
Cosa fare allora per colmarlo in modo salutare? Ecco alcuni consigli:
- Eliminare (un po’ per volta) tutte le condotte insane che lo coprono;
- Osservare i margini del vuoto, avvicinandosi piano come sul bordo di un cratere.
- Alimentare la fiducia che possiamo calarci al suo interno per conoscerlo.
- Permettersi di vivere quel vuoto ossia di stare in quella sensazione per gradi, aumentando il tempo di permanenza (5, 10, 15 minuti e così via)
- Accogliere tutto quello che emerge: ogni emozione, immagine, ricordo e pensiero.
- Scoprire cosa c’è al di là. A un certo punto il vuoto finisce ,esattamente come quando ricompare la luce alla fine del tunnel. È il momento in cui arrivano le soluzioni e soprattutto abbiamo acquisito la confidenza e la capacità di stare nel nostro vuoto. Il vuoto non ci fa più paura, diventa una parte di noi con cui possiamo convivere.
Un vuoto pieno che non ha più bisogno di essere colmato.
Esercizi e suggerimenti
Durata: 20 minuti.
Frequenza: più volte fino al raggiungimento dell’obiettivo.
Obiettivo: prendere confidenza e colmare il senso di vuoto in modo sano.
Azione: mettiti comodo su di una poltrona in un luogo dove nessuno ti disturba, fai un bel respiro e chiudi gli occhi. Segui il ritmo del tuo respiro e lasciati cullare immaginando di scendere nella profondità della tua mente dove tutto è calmo come sul fondo dell’oceano. Immagina di percorrere un viaggio dentro te stesso, all’esplorazione delle parti più remote e nascoste di te. Sai che c’è un vuoto laggiù, un buco nero, che a mano a mano che ti avvicini fa sentire la sua presenza e si trasforma in quella sensazione che conosci bene. Scegli quanto avvicinarti e come al suo bordo. Rispetta i tuoi tempi e i tuoi modi. Osserva dove arrivi, fermati se non te la senti di continuare. Rimani solo qualche istante per prendere confidenza e poi torna indietro, e mano mano che risali immagina di ritrovare la pace e la serenità iniziale.
Nel viaggio successivo, vai oltre, immagina di calarti nel vuoto in modo sicuro: c’è chi si ritrova sospeso, chi si cala con una corda, chi vola (con l’immaginazione puoi tutto). Vivi l’emozione anche se spiacevole e lascia che la tua mente ti metta in contatto con tutto ciò che può essere rilevante: pensieri, ricordi, immagini. Annotale e ritorna in superficie, riacquisendo la serenità iniziale.
Nel viaggio successivo, tuffati nel vuoto immaginando di esplorarlo per scoprirne le radici o cosa c’è al di là. Immagina di uscire dalla parte opposta e scopri cosa c’è. Spesso ci sono sensazioni piacevoli e positive. Accoglile per poi riemergere e sentire quanto quel vuoto si sia trasformato.
Nota: non esiste un numero di “viaggi” prestabilito; per qualcuno può essere sufficiente un unico viaggio, per altri più di uno. Suddividi il viaggio in tappe nel rispetto dei tuoi tempi e dei tuoi modi, non avere fretta. Se senti che la sensazione di vuoto è troppo forte per affrontarla da solo, chiedi un aiuto professionale che ti sappia guidare con sicurezza.
Il consiglio del biblioterapeuta
Augusten Burroughs, Dry (Alet Edizioni, 2005)
«Il mio segreto è l’appartamento: è pieno di bottiglie vuote. Non cinque o sei.
Diciamo 300. Trecento bottiglie di scotch da un litro, che invadono tutto lo spazio sul pavimento che non sia occupato da un letto o da una sedia. Talvolta io stesso resto sbalordito da quel colpo d’occhio. E la cosa strana è che sinceramente non so come siano arrivate lì».
Augusten, come Giacomo di questa lezione, è un uomo di “successo”: è un noto pubblicitario, nel suo lavoro è tra i più bravi e apprezzati e viene richiesto per lavorare su quei prodotti da lanciare sul mercato, rendendoli unici, riconoscibili e richiesti dal pubblico.
Sono gli anni a cavallo tra gli ’80 e i ’90, il momento in cui la pubblicità acquisisce un’importanza fondamentale nella comunicazione di massa.
Augusten vive a New York – dopo essersi allontanato da un “contesto famigliare” molto problematico e difficile – dove è riuscito a usare nel migliore dei modi il proprio talento creativo per crearsi una nuova vita.
Eppure.
È alcolista, ha una dipendenza da droghe di vario tipo, ha molte relazioni che limita al sesso e che vive con grandi difficoltà e paure.
Ha un vuoto dentro che non riesce a colmare e che cerca di riempire usando tutti i mezzi a lui possibili, senza una reale consapevolezza delle ragioni profonde che lo spingono a tanto.
Fino al momento in cui si troverà con le spalle al muro e dovrà scegliere tra il vivere o la definitiva autodistruzione.
Questo memoir – “il racconto delle proprie “memorie emotive”, ossia la narrazione delle emozioni e delle sensazioni vissute in determinati momenti della vita, ritenuti particolarmente significativi a livello individuale” (E. Lombardo) – comincia dove finisce il precedente Correndo con le forbici in mano che ha sempre protagonista Burroughs, in cui l’autore rivela, travestendoli, tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato la sua infanzia e la sua prima giovinezza.
Avvenimenti che hanno provocato in lui proprio quel vuoto.
E la citazione riportata all’inizio di questa “pillola biblioterapica” lo rappresenta perfettamente. Scegliere Dry piuttosto che un altro romanzo in cui dipendenze di vario tipo sono raccontate anche con maggior dovizia di particolari non è stata casuale: poche volte mi sono imbattuto in una voce così vera e potente, una voce che urla con la poca forza rimasta il suo dolore.
Una voce che ci può insegnare molto, una voce che può aiutarci a comprendere che quel vuoto lo si deve affrontare, facendo un lavoro su di sé anche faticoso e difficile.
Con la consapevolezza però di ottenere un risultato importante e determinante: poterlo colmare di tutto ciò che in cuor nostro desideriamo e che vogliamo realmente nella e per la nostra vita.
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